Canale di Spiritualità
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Cominciamo dalle prime parole della preghiera: Padre nostro che sei nei cieli. Nel vostro libro esse sono intese come un appello all’amore del prossimo, perché siamo tutti Figli di Dio. Questo è giusto, ma nei santi Padri la spiegazione va oltre ed è più profondamente spirituale: essi dicono che pronunciando quelle parole noi dobbiamo elevare la nostra mente al Cielo, al Padre che è nei Cieli, e ricordare a ogni istante che siamo alla presenza di Dio. Le parole: sia santificato il tuo nome, esortano, secondo il vostro libro, a non menzionare il Nome di Dio senza reverenza, né usarlo per falsa testimonianza, affinché quel santo Nome sia pronunciato piamente e non invano; ma gli scrittori mistici le interpretano come una petizione dell’orazione del cuore, vale a dire: che il santissimo Nome si imprima nell’intimo del cuore e vi sia santificato dalla orazione spontanea e santifichi a sua volta tutti i sentimenti e le potenze della nostra anima. Le parole: venga il tuo Regno, poi, le spiegano così: vengano nel nostro cuore la pace interiore, il riposo e il gaudio spirituale. Il vostro libro spiega che le parole: dacci oggi il nostro pane quotidiano, si riferiscono ai bisogni della nostra vita corporale, a quello che occorre per noi e per il nostro prossimo. Massimo il Confessore invece intende per pane quotidiano il pane celeste che nutre lo spirito, cioè la Parola di Dio, e l’unione con Dio nel raccoglimento in Lui del pensiero e nella incessante orazione del cuore”.

Racconti di un pellegrino russo
Bhagavad Gita, ed. Mediterranee, nono discorso
L'uomo non crescerà mai integralmente, non sarà mai completo, se non si aprirà alla meditazione, permettendo alle correnti purificatrici del triplice silenzio di ordinare e pulire la sua casa interiore. Cristo ci insegna questo silenzio, il quale più che un lusso per pochi è un mezzo indispensabile per una vita votata al servizio limpido ed efficace dei fratelli. Prima della sua vita pubblica egli si tuffò per quaranta giorni nei silenzi del deserto della Giudea. San Luca poi ci descrive le folle che sembravano non volerlo lasciare andare:

"La gente parlava sempre più spesso di Gesù, e molta folla si radunava per ascoltarlo e per essere guarita dalle malattie."
(Lc 5,15)


Ci si potrebbe aspettare che il Signore in mezzo ai rumori e alle attività della vita pubblica abbia una reazione del tipo: «E Gesù raddoppiava le sue fatiche e sforzi per donarsi ancora più ai lavori della sua missione». Invece la conclusione riportata dall'evangelista (che mi auguro sia anche di spunto per noi!) è ben diversa:

Ma Gesù si ritirava in luoghi isolati per pregare. (Lc 5,16)

Padre Mariano Ballester- Verso l'altra riva
Vita di Ramakrishna-Romain Rolland
Entronauti- Piero Scanziani.
Nella mistica di Tauler, discepolo di Eckhart, la morte del piccolo io diviene un bellissimo canto gioioso della suprema povertà e conseguenza dell'abbandono dei ragionamenti discorsivi nella sponda del silenzio:

"Voglio intonare un canto nuovo: la nudità. La purezza reale è vuota di pensiero, il pensiero deve ritrarsi. Ho perduto il mio io egoico, sono ridotto a nulla. Chi si è spogliato della ragione non ha inquietudini.
Ciò che mi è straneo non m'illude ormai più, son felice di essere tanto povero che ricco. Nessuna immagine mi soddisfa, mi son liberato di me stesso. Sono ridotto a nulla, chi si è spogliato della ragione non ha inquietudini.
Fondendomi con l'unità, ho superato le immagini, questa è l'unità reale. Amore e dolore non mi feriscono. Sono ridotto a nulla, chi si è spogliato della ragione non ha inquietudini. Cessando di distinguere mi son liberato della ragione. In me è solo presente la divinità una. Non posso tacere, devo affermare: Sono ridotto a nulla, chi si è spogliato della ragione non ha inquietudini.
Sono perduto nell'abisso, non ho più parole né lingua, la divinità mi ha inghiottito. Io sono disabitato, per questo le tenebre mi hanno rallegrato... Il fuoco d'amore mi ha d'un tratto consunto. Ne sono morto. Chi si è spogliato della ragione non ha inquietudini."


Questo canto di Tauler potrebbe essere riassunto nelle parole di Paolo ai Colossesi sulla vita originaria già citate, che ora possiamo completare con quelle riguardanti la morte del piccolo io (3,3):

Siete morti
e la vostra vita è ormai nascosta
con Cristo in Dio.

Padre Mariano Ballester - Il Cristo, Il Contadino e il Bue.
Mio Dio, fammi uscire dalla bassezza della mia anima e purificami dal dubbio e dall'associazionismo, prima che io scenda nella tomba.
A Te chiedo la vittoria: fammi vincere.
In Te confido: fa' che non confidi in me stesso.
Ti invoco: non deludermi.
Anelo alla Tua grazia: non privarmene.
Mi attacco alla Tua maestà: non allontanarmi.
Sosto alla Tua porta: non cacciarmi.

Dal Colloquio Mistico di Ibn 'Atā' Allāh
I Pandava avanzarono in silenzio, con un gruppo di fedeli seguaci, fino a quando raggiunsero le rive della Ganga, dove trascorsero la notte sotto un albero dall'ampia chioma.
Qualcuno, nel seguito di Yudhisthira, accese un fuoco sacrificale, e salmodiò melodiosamente i Veda per ingannare il tempo.
Yudhisthira si rivolse a loro: « Rientrate, ve ne prego. La foresta è irta di pericoli. È popolata di rettili e di animali feroci. Noi siamo i responsabili di un simile destino, perché mai voi dovreste condividerlo? I miei fratelli sono così scoraggiati che non hanno nemmeno la forza di cogliere frutti e cacciare animali per procurarvi il cibo. Per questo vi esorto a tornare alle vostre case ».
Qualcuno accolse il suo suggerimento e si allontanò, ma altri rifiutarono di andarsene, assicurando a Yudhisthira che avrebbero saputo provvedere a se stessi senza essere di peso in alcun modo. Yudhisthira fu commosso dalla loro devozione e non seppe nascondere le lacrime. Il suo dolore coinvolgeva tutti. Fu allora che Saunaka, uno dei savi del gruppo, prese a consolarlo con le sue riflessioni filosofiche. «Timori e dolori affliggono a mille a mille l'intera umanità, ma riescono a incidere solo sugli ignoranti. Uomini dotati della tua saggezza non debbono lasciarsi sopraffare da un mutamento delle circostanze che causa povertà, che determina la perdita della casa, del regno, degli amici e dei parenti. »

Il Mahābhārata raccontato da R. K. Narayan
Ashtavakra Gita - 1 Capitolo
"Che sia onorato o tormentato, il saggio è sempre consapevole della suprema natura del Sé e non nutre aspettative né delusioni.

La persona dalla grande anima vede persino il proprio corpo agire come il corpo di qualcun altro, dunque come può essere disturbato dall'onore o dal disonore?

Vedendo questo mondo come pura illusione, e privo di ogni interesse in esso, come può colui che ha una mente forte provare ancora paura, anche di fronte alla morte?

Chi può essere comparato ad una persona dalla grande anima la cui mente è libera dal desiderio, anche nella delusione, e che ha trovato soddisfazione nella conoscenza di sé?

Come può una persona dalla mente risoluta, che sa che quello che vede è per sua natura nulla, considerare un oggetto come desiderabile ed un altro come sgradevole?

Un oggetto di godimento di per sé non è né doloroso né piacevole per qualcuno che ha rimosso l'attaccamento, e che è libero dal dualismo e dal desiderio."

Dal III capitolo dell'Ashtavakra Gita
Che cos'è la contemplazione?

La contemplazione è l’espressione più alta della vita intellettuale e spirituale dell’uomo. È quella vita stessa, pienamente cosciente, pienamente attiva, pienamente consapevole di essere vita. È prodigio spirituale. È timore riverente, spontaneo, di fronte al carattere sacro della vita, dell’essere. È gratitudine per il dono della vita, della consapevolezza, dell’essere. È chiaro intendimento che la vita e l’essere, in noi, derivano da una Fonte invisibile, trascendente e infinitamente ricca. La contemplazione è soprattutto consapevolezza della realtà di questa Fonte....È un prender viva coscienza dell’Essere infinito che sta alla radice del nostro essere limitato. Una consapevolezza della nostra realtà contingente come ricevuta, come dono di Dio, come un gratuito dono d’amore. Proprio questo è quel contatto vitale di cui parliamo quando usiamo la metafora «toccato da Dio». La contemplazione è pure risposta a un appello: un appello di Colui che non ha voce, ma che tuttavia parla in ogni cosa che esiste e che, soprattutto, parla nel profondo del nostro essere, poiché noi stessi siamo Sue parole. Siamo parole intese a corrisponderGli, a risponderGli, ad echeggiarLo e anche, in un certo modo, a contenerLo e a manifestarLo. La contemplazione è questa eco. È una profonda risonanza nel nucleo più intimo del nostro spirito, dove la nostra stessa vita perde la sua voce individuale per vibrare della maestà e della misericordia del Nascosto e del Vivente...È come se, creandoci, Dio avesse posto una domanda; e, ridestandoci alla contemplazione, Egli rispondesse a questa domanda. Così l’anima contemplativa è al tempo stesso domanda e risposta. La vita contemplativa implica due gradi di consapevolezza: primo, consapevolezza della domanda; secondo, consapevolezza della risposta. Benché questi due gradi siano distinti e immensamente diversi tra loro, pure sono coscienza di un’identica realtà. La domanda è, essa stessa, la risposta. E noi siamo ambedue le cose. Ma non possiamo saperlo finché non ci siamo portati al grado superiore; ci ridestiamo non per trovare una risposta nettamente diversa dalla domanda, ma per renderci conto che la domanda è risposta a se stessa. E tutto ciò si riassume in un’unica consapevolezza: non un’affermazione, ma una esperienza: «Io sono».

Semi di contemplazione - Thomas Merton
Carl Gustav Jung "La vita simbolica" (1939)