CICAP
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Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze
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Amante del limpido⁣ Tipico del tratto torrentizio della fascia di bassa montagna e collinare italiana, ma presente anche in pianura, in ruscelli, rogge e canali, il vairone (Telestes muticellus) è un pesce piuttosto esigente in fatto di qualità delle acque, che predilige limpide, con moderata corrente, abbondantemente ossigenate, ed aventi fondali rocciosi e ghiaiosi.⁣ ⁣ Specie gregaria e onnivora, preferisce predare una vasta gamma di invertebrati acquatici, ed allo stadio di avannotto persino zooplancton e fitoplancton.⁣

📸 Angelo Emilio Imberti⁣
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Una pianta augurale⁣ Arbusto sempreverde alto fino a 10 metri d'altezza, l'agrifoglio (Ilex aquifolium) è una pianta originaria dell'Europa, diffusa in tutto il Mediterraneo e molto caratteristica per le foglie di colore verde scuro che contrastano con il rosso acceso delle bacche (dette drupe), contenenti i semi.⁣ ⁣ Si tratta di una pianta usata come decorazione sin dai tempi antichi, e utilizzata nelle feste dedicate al solstizio d'inverno con significato augurale. Nella cultura celtica, all'agrifoglio venivano attribuiti poteri magici, ed era considerato simbolo di vita.⁣ ⁣ Le sue bacche sono velenose per l'uomo, ma apprezzate dall'avifauna dei boschi.⁣

📸 Angelo Emilio Imberti⁣
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🦎 Un tritone... fluttuante

Nei fontanili e in piccole zone umide delle zone pianeggianti e collinari dell'Italia settentrionale e centrale caratterizzati da acque limpide vive il tritone punteggiato (Lissotriton vulgaris).
Si tratta di un piccolo anfibio, sempre più raro nel nostro paese a causa della progressiva sparizione del suo habitat, che nel periodo riproduttivo si riunisce in pozze idonee ricche di vegetazione acquatica sulla quale depone le proprie uova.
Qui è ritratto un maschio adulto, che fluttuando a mezz'acqua come un esperto subacqueo, riesce perfettamente a controllare il proprio assetto mediante la quantità di aria immagazzinata nei polmoni.⁣

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🐚 Un bivalve... piccino

Nel nostro Mar Mediterraneo, esistono pettini (ossia conchiglie bivalvi appartenenti alla famiglia Pectinidae) anche piccolissimi, come questo Palliolum incomparabile di 9 mm.

La scultura della conchiglia è talmente fine da risultare apprezzabile solamente al microscopio🔬, e la specie è dotata di una elevata variabilità cromatica, essendo possibile trovarla in versione monocolore gialla, rossa, arancione ovvero in versione variegata multicolore, come quella qui raffigurata.

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🦎 Nelle fonti d'acqua dei boschi e ai margini dei ruscelli, in primavera può capitare di imbattersi in piccole larve di salamandra pezzata (Salamandra salamandra) a loro agio nell'elemento liquido.

La prima fase della vita di questo anfibio avviene infatti sott'acqua, poiché alla nascita la larva è munita di branchie esterne, come visibili nella foto. Solo più tardi, durante la crescita, le branchie sono destinate ad riassorbirsi e sparire, e le salamandrine, che iniziano una respirazione polmonare al termine della metamorfosi, diventano animali terrestri, allontanandosi dall'acqua e frequentando il sottobosco.
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Il cavalluccio marino (Hippocampus guttulatus) è un pesce dalle caratteristiche molto peculiari. Non dispone di una pinna caudale, ma di una coda prensile con cui si ancora al fondale, e per muoversi in avanti utilizza la pinna dorsale.

La particolare conformazione della bocca lo aiuta nella predazione dei piccoli invertebrati di cui di nutre.⁣

📸 Angelo Emilio Imberti⁣
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La comparsa del genere Homo: l’encefalizzazione

Le australopitecine furono un gruppo longevo, a testimonianza del loro successo evolutivo. Ma cosa accadde dopo?

Le ricerche suggeriscono che il loro habitat, la foresta inframmezzata da zone aperte, lentamente scomparve per fare spazio alle savane. Ciò favorì diversi adattamenti. A partire, più o meno, da 2,5 Ma comparvero delle scimmie bipedi con dei molari enormi, adatti a una dieta coriacea, i parantropi; essi convissero con i primi rappresentanti del genere Homo, cioè H. rudolfensis e H. habilis.

Sono considerati tra i primi umani perché in queste specie era cominciata l’encefalizzazione.
Ma perché accadde proprio negli Homo? È possibile che fosse un effetto della loro dieta carnivora; questi individui infatti saccheggiavano le carcasse uccise da grandi predatori.
L’attività nervosa consuma molta energia, e una dieta ricca di nutrienti avrebbe reso la pressione selettiva meno severa, dando inizio all’espansione cerebrale.

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Homo ergaster: Turkana Boy, il giovane atleta

Diversi studi ritengono che a diffondersi fuori dall’Africa fu una specie conosciuta come Homo ergaster. Fu una varietà umana estremamente innovativa, che costituisce un modello per l’identificazione di resti del genere Homo.
Con H. ergaster il bipedismo era diventato obbligato.
Come lo sappiamo? Grazie al ritrovamento dello scheletro di “Turkana boy”, in Kenya. Questi individui dovevano essersi adattati a una vita fatta di estenuanti marce in terra di savana.
Il ragazzino aveva un cervello abbastanza sviluppato, avrebbe raggiunto i 910 ml di volume se non fosse morto prematuramente. La sua età, invece, è un enigma: analisi delle ossa e dei denti danno risultati contrastanti, il che fa pensare ad un periodo della crescita intermedio tra il nostro e quello dello scimpanzé.
Ciò si spiega con il concetto di neotenia: nel genere Homo si è affermata la tendenza a maturare sempre più tardi, ottenendo la permanenza dei caratteri giovanili.

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I cugini Neanderthal e Denisova

Non è molto famoso, eppure Homo heidelbergensis ha rappresentato una fase cruciale dell’evoluzione umana.
Sembra che fosse l’illustre antenato comune tra noi Homo sapiens e altre specie estinte: i Neanderthal e l’Homo di Denisova.

Eravamo cugini, e anche se non è stato ancora ritrovato il cranio di un Denisova dobbiamo sospettare che avessimo tutti un gran cervello, con un volume ben superiore a un litro!
Ma come facciamo a essere (abbastanza) sicuri del nostro grado di parentela? Bè, in alcune ossa si è conservato l’antico DNA di questi umani estinti, che ha permesso dei confronti con il nostro.

La scoperta più interessante è il segno che essi hanno lasciato nel nostro genoma.
Tra noi e queste comunità sono scaturiti dei contatti di natura sessuale, ed ecco perché tutti gli eurasiatici conservano una piccola percentuale di DNA neanderthaliano.
Tracce dei denisoviani sono rimaste invece nel genoma dei papuani.

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L’Eurasia dei ghiacci e l’umanità di mezzo

L’epoca in cui nasce e si sviluppa il genere Homo si chiama Pleistocene, un tempo caratterizzato da ripetute glaciazioni le quali rendevano le terre dell’Eurasia aspre e inospitali.
Gli studi sembrano indicare un popolamento discontinuo dell’Europa, da parte di piccoli gruppi, già 1 milione di anni fa circa.
La difficoltà a sopravvivere a causa di un clima estremamente rigido potrebbe aver causato più crisi demografiche, fino all’estinzione delle specie.
Verso i 600 mila anni fa, compaiono nel Continente segni di una società più progredita, capace di sfruttare qualsiasi appiglio offerto dal territorio, e perciò capace di diffondersi in più continenti.
Gli individui in questione, Homo heidelbergensis, ci hanno lasciato amigdale in pietra molto belle, con una simmetria tridimensionale; abbiamo trovato anche resti di accampamenti, e forse avevano cominciato a usare i pigmenti per dipingersi il corpo.

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