CICAP
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🐚 Un bivalve... piccino

Nel nostro Mar Mediterraneo, esistono pettini (ossia conchiglie bivalvi appartenenti alla famiglia Pectinidae) anche piccolissimi, come questo Palliolum incomparabile di 9 mm.

La scultura della conchiglia è talmente fine da risultare apprezzabile solamente al microscopio🔬, e la specie è dotata di una elevata variabilità cromatica, essendo possibile trovarla in versione monocolore gialla, rossa, arancione ovvero in versione variegata multicolore, come quella qui raffigurata.

📸 Angelo Emilio Imberti⁣
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🦎 Nelle fonti d'acqua dei boschi e ai margini dei ruscelli, in primavera può capitare di imbattersi in piccole larve di salamandra pezzata (Salamandra salamandra) a loro agio nell'elemento liquido.

La prima fase della vita di questo anfibio avviene infatti sott'acqua, poiché alla nascita la larva è munita di branchie esterne, come visibili nella foto. Solo più tardi, durante la crescita, le branchie sono destinate ad riassorbirsi e sparire, e le salamandrine, che iniziano una respirazione polmonare al termine della metamorfosi, diventano animali terrestri, allontanandosi dall'acqua e frequentando il sottobosco.
📸 Angelo Emilio Imberti⁣
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Il cavalluccio marino (Hippocampus guttulatus) è un pesce dalle caratteristiche molto peculiari. Non dispone di una pinna caudale, ma di una coda prensile con cui si ancora al fondale, e per muoversi in avanti utilizza la pinna dorsale.

La particolare conformazione della bocca lo aiuta nella predazione dei piccoli invertebrati di cui di nutre.⁣

📸 Angelo Emilio Imberti⁣
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La comparsa del genere Homo: l’encefalizzazione

Le australopitecine furono un gruppo longevo, a testimonianza del loro successo evolutivo. Ma cosa accadde dopo?

Le ricerche suggeriscono che il loro habitat, la foresta inframmezzata da zone aperte, lentamente scomparve per fare spazio alle savane. Ciò favorì diversi adattamenti. A partire, più o meno, da 2,5 Ma comparvero delle scimmie bipedi con dei molari enormi, adatti a una dieta coriacea, i parantropi; essi convissero con i primi rappresentanti del genere Homo, cioè H. rudolfensis e H. habilis.

Sono considerati tra i primi umani perché in queste specie era cominciata l’encefalizzazione.
Ma perché accadde proprio negli Homo? È possibile che fosse un effetto della loro dieta carnivora; questi individui infatti saccheggiavano le carcasse uccise da grandi predatori.
L’attività nervosa consuma molta energia, e una dieta ricca di nutrienti avrebbe reso la pressione selettiva meno severa, dando inizio all’espansione cerebrale.

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Homo ergaster: Turkana Boy, il giovane atleta

Diversi studi ritengono che a diffondersi fuori dall’Africa fu una specie conosciuta come Homo ergaster. Fu una varietà umana estremamente innovativa, che costituisce un modello per l’identificazione di resti del genere Homo.
Con H. ergaster il bipedismo era diventato obbligato.
Come lo sappiamo? Grazie al ritrovamento dello scheletro di “Turkana boy”, in Kenya. Questi individui dovevano essersi adattati a una vita fatta di estenuanti marce in terra di savana.
Il ragazzino aveva un cervello abbastanza sviluppato, avrebbe raggiunto i 910 ml di volume se non fosse morto prematuramente. La sua età, invece, è un enigma: analisi delle ossa e dei denti danno risultati contrastanti, il che fa pensare ad un periodo della crescita intermedio tra il nostro e quello dello scimpanzé.
Ciò si spiega con il concetto di neotenia: nel genere Homo si è affermata la tendenza a maturare sempre più tardi, ottenendo la permanenza dei caratteri giovanili.

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I cugini Neanderthal e Denisova

Non è molto famoso, eppure Homo heidelbergensis ha rappresentato una fase cruciale dell’evoluzione umana.
Sembra che fosse l’illustre antenato comune tra noi Homo sapiens e altre specie estinte: i Neanderthal e l’Homo di Denisova.

Eravamo cugini, e anche se non è stato ancora ritrovato il cranio di un Denisova dobbiamo sospettare che avessimo tutti un gran cervello, con un volume ben superiore a un litro!
Ma come facciamo a essere (abbastanza) sicuri del nostro grado di parentela? Bè, in alcune ossa si è conservato l’antico DNA di questi umani estinti, che ha permesso dei confronti con il nostro.

La scoperta più interessante è il segno che essi hanno lasciato nel nostro genoma.
Tra noi e queste comunità sono scaturiti dei contatti di natura sessuale, ed ecco perché tutti gli eurasiatici conservano una piccola percentuale di DNA neanderthaliano.
Tracce dei denisoviani sono rimaste invece nel genoma dei papuani.

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L’Eurasia dei ghiacci e l’umanità di mezzo

L’epoca in cui nasce e si sviluppa il genere Homo si chiama Pleistocene, un tempo caratterizzato da ripetute glaciazioni le quali rendevano le terre dell’Eurasia aspre e inospitali.
Gli studi sembrano indicare un popolamento discontinuo dell’Europa, da parte di piccoli gruppi, già 1 milione di anni fa circa.
La difficoltà a sopravvivere a causa di un clima estremamente rigido potrebbe aver causato più crisi demografiche, fino all’estinzione delle specie.
Verso i 600 mila anni fa, compaiono nel Continente segni di una società più progredita, capace di sfruttare qualsiasi appiglio offerto dal territorio, e perciò capace di diffondersi in più continenti.
Gli individui in questione, Homo heidelbergensis, ci hanno lasciato amigdale in pietra molto belle, con una simmetria tridimensionale; abbiamo trovato anche resti di accampamenti, e forse avevano cominciato a usare i pigmenti per dipingersi il corpo.

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Altruismo e cooperazione: una prospettiva evoluzionistica

Varie interpretazioni sono state fatte in merito ai comportamenti altruistici presenti in natura: come la selezione parentale ed il concetto di fitness inclusiva, che spiegherebbe il vantaggio di aiutare i consanguinei.
Ma come spiegare i comportamenti cooperativi tra individui non imparentati o tra specie diverse? La teoria dell’altruismo reciproco rappresenta un’ipotesi convincente per spiegare l’evoluzione della cooperazione.
Se gli scambi di "favori" portano ad un incremento della fitness, allora i geni associati alla cooperazione si diffonderanno nella popolazione.
E se il favore non viene restituito? Trivers suggerisce che elemento importante da considerare è il tempo. Spesso il favore viene restituito in ritardo e questo permette di individuare gli imbroglioni e di isolarli: in un gruppo di altruisti osservanti il “gene dell’imbroglio” non si diffonderà.

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John Tyndall (1820 ~ 1893)

Il 2 agosto del 1820 nacque il fisico irlandese John Tyndall, famoso per aver descritto un fenomeno fisico che porta il suo nome.⁣
L'effetto Tyndall è osservabile quando un fascio luminoso attraversa un colloide, ovvero una miscela eterogenea in cui sono presenti particelle finemente disperse. Il fascio, attraversando la dispersione, dà origine a un cono luminoso visibile lateralmente che si diffonde in tutte le direzioni.⁣

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Il DNA spazzatura

Il genoma di una cipolla è 5 volte più grande del nostro. Intuitivamente, verrebbe da pensare che a genomi più grandi corrispondano organismi più complessi, ma (con tutto il rispetto per le cipolle), non è così.
Uno dei motivi per cui non esiste una relazione diretta tra DNA e complessità sembra essere la presenza all’interno dei genomi di materiale apparentemente inutile, ma innocuo: il DNA spazzatura.
Esistono due tipi di spazzatura: “il ciarpame” o junk, cioè la spazzatura che teniamo e accumuliamo, e l’immondizia o garbage, cioè la spazzatura maleodorante che buttiamo.
I genomi sembrano essere pieni di DNA junk che non viene eliminato.
Perché? Da un punto di vista evoluzionistico, una risposta risiede nella possibilità del junk DNA di poter assumere nuove e vantaggiose funzioni a seguito di eventi mutazionali.
In questo senso il junk DNA è una fonte di variabilità, che è la materia prima su cui lavora l’evoluzione.

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Come ogni anno anche tra pochi giorni, dal 10 al 14 agosto, si ripeterà il fenomeno che spinge moltissimi adulti e bambini ad alzare gli occhi al cielo per godersi lo spettacolo delle famose stelle cadenti o lacrime di San Lorenzo.

Si tratta in realtà di uno sciame meteorico causato dal passaggio della cometa Swift-Tuttle che, incrociando ogni 133 anni circa l'orbita terrestre, lascia un residuo di polveri e detriti. Questi, a contatto con l'atmosfera, si incendiano e descrivono nel cielo delle bellissime e spettacolari scie luminose, chiamate Perseidi perché sembrano originarsi dalla costellazione di Perseo.

Il momento più favorevole all'osservazione dovrebbe essere il 12 e 13 agosto, meglio nella seconda parte della notte, possibilmente lontano dalle luci cittadine.
Buona visione!!!

📸 Alessandro Cipolat Bares
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Le prime espansioni fuori dall’Africa

Sono note le capacità di grandi camminatori degli esseri umani, fatto che ha portato creature simili a noi ad occupare vasti territori in poco tempo.
Non vanno confuse con le migrazioni, erano piuttosto delle espansioni di areale, che ad un certo punto hanno visto le porte dell’Eurasia.
La più antica di queste Out of Africa iniziò circa 2 Ma; sono stati trovati dei resti umani in Georgia che lo dimostrano.
Ci raccontano di una specie assai variabile al suo interno, ribattezzata H. georgicus, e di un’antichissima testimonianza di cure verso un anziano della tribù.
Era inevitabile che questi individui, separati da migliaia di chilometri e dal tempo, dessero origine a delle nuove specie.
La Cina e l’isola di Giava hanno restituito i resti di un’umanità molto longeva, gli Homo erectus; mentre l’isola di Flores (Indonesia) ospitava H. floresiensis, chiamato anche “hobbit” per la sua piccola statura.

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Paleolitico inferiore parte 2: il Modo 2 (Acheuleano)

Il nome assegnato a una specie spesso riflette una sua caratteristica. Nel caso di Homo ergaster, esso deriva da “ergon”, una parola greca per indicare il lavoro o l’opera.
In breve, non molto tempo dopo la loro comparsa, questi umani antichi inventarono una nuova tecnologia: il cosiddetto Modo 2 (o Acheuleano), caratterizzato da pietre a goccia, le amigdale, e altre dalla forma leggermente diversa, le mannaie.
Si tratta dei primi strumenti fuori dalla portata delle abilità di una qualsiasi scimmia antropomorfa, vivente o estinta.
È curioso che schegge semplici e chopper del Modo 1 non siano state immediatamente soppiantati dai nuovi utensili. Ma in realtà questi ultimi non erano più efficaci per la macellazione dei precedenti…
Probabilmente si sono diffusi per altri motivi: perché più belli da vedere, grazie a una scintilla di simmetria, magari avevano un ruolo sociale.

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Neanderthal: Modo 3 "Musteriano", capacità artistiche/simboliche

I Neanderthal incarnano un affascinante enigma. Sono stati il nostro alter ego, anch’essi abili cacciatori dalla grande intelligenza; tuttavia diversi, a cominciare dal loro fisico, così possente e compatto, capeggiato da una testa - dunque da un cervello - allungata in senso antero-posteriore, come una palla da rugby.

Il tessuto nervoso è troppo fragile perché si conservi decine di migliaia di anni: per fortuna, l’archeologia ci ha restituito le prove di un comportamento molto complesso.

Sappiamo della nascita di una nuova tecnologia: il Modo 3, che permetteva di ottenere larghe schegge di pietra sottili e affilate.
Tra abitudini Neanderthal c’era la pittura corporale, forse a scopo rituale; sembra siano stati artefici della più antica arte rupestre, inoltre una grotta buia nel cuore di una montagna, assimilabile a un luogo di culto, fa pensare che pure loro avessero un’intelligenza simbolica.

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"Aria deflogisticata": così il chimico e filosofo inglese Joseph Priestley definì la sostanza che aveva appena scoperto, ovvero l'ossigeno.⁣

Il primo agosto del 1774 Priestley scaldò dell'ossido di mercurio rossastro sotto una campana di vetro tramite una lente: annotò che "il gas emesso era 5-6 volte buono quanto la comune aria". ⁣Quel che non sapeva è che aveva appena isolato uno degli elementi più abbondanti della Terra, e che la sua scoperta avrebbe aiutato Antoine Lavoisier a smentire una delle teorie più diffuse del Settecento, quella del flogisto.⁣ Il flogisto era un'ipotetica sostanza che si sarebbe dovuta liberare come prodotto di una combustione.⁣ ⁣

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L'orologio molecolare

Come si fa a stimare il momento in cui due specie si sono separate? Uno dei principali approcci per risolvere questo tipo di problemi prende il nome di “orologio molecolare”.
Per capire come funziona questo strumento diagnostico è necessario considerare la teoria neutrale dell’evoluzione. Secondo questa teoria, la maggioranza delle mutazioni non ha alcun effetto sulla fitness dell’individuo, dunque risulta invisibile alla selezione naturale.
Assumendo per valido questo principio, si può dedurre che il DNA accumuli sostituzioni ad un ritmo costante nel tempo. Il DNA agirebbe quindi come una sorta di orologio in cui i ticchettii (le sostituzioni), uguali fra loro, si succedono in maniera costante. Conteggiando il numero di differenze nel DNA tra gli organismi considerati, è possibile risalire al momento della speciazione.
Tuttavia, è difficile per molti motivi trovare delle sequenze di DNA (definite in filogenesi "marcatori") che si comportino in questo modo.

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☢️ Il 29 agosto del 1982 fu isolato il meitnerio (Mt).

Il meitnerio è elemento chimico (numero atomico 109) il cui nome deriva dalla fisica austriaca Lise Meitner.
Fu ottenuto tramite un processo di fusione nucleare bombardando un nucleo di bismuto-209 con uno ferro-58, alla GSI (Gesellschaft für Schwerionenforschung), ovvero la "Società per la ricerca sugli ioni pesanti" in Germania.

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L’origine evolutiva dei virus 🦠

Come sono nati i virus?
Quando sono apparsi per la prima volta?
Sono state proposte almeno 3 ipotesi per spiegare l’emergenza di queste entità:

👉 L’ipotesi della fuga: i virus deriverebbero da elementi genomici che con il tempo avrebbero acquisito capacità di uscire dalla cellula ed entrare in un’altra, parassitandola.
👉 L’ipotesi regressiva: questa ipotesi suppone che i virus derivino da organismi a vita libera più complessi il cui genoma nel corso del tempo si è semplificato, adottando uno stile di vita di parassitismo.
👉 L’ipotesi “virus-first”: entrambe le ipotesi precedenti assumono che alla comparsa dei virus le cellule fossero già presenti. E se invece fosse il contrario? Alcuni ricercatori sostengono che i virus potessero essere le prime unità capaci di replicazione.

Numerosi studi evidenziano che essi abbiano svolto un ruolo importante nell’evoluzione umana: ad esempio, si stima che l’8% del genoma umano abbia origine retrovirale.

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La comparsa di Homo sapiens

La nostra specie, Homo sapiens, è piuttosto giovane paragonata alla Storia del genere umano. Ma quando siamo comparsi sulla scena?
Resti fossili provenienti da diversi siti africani - Jebel Irhoud, Omo Kibish, Herto Bouri - permettono di datare la nostra origine tra i 300 e i 200 mila anni fa.

I nostri antenati avevano un aspetto diverso dai loro cugini. Tralasciando la corporatura più esile, il cranio di H. sapiens non risulta schiacciato e allungato, bensì ricorda un pallone da calcio o una lampadina; il cervello dalla forma globulare mostra una notevole espansione dei lobi parietali.

La nostra specie dimostrò ben presto un grande successo adattativo, che ci ha portato a colonizzare l’intero pianeta: risalgono circa a 100 mila anni fa le prime testimonianze di umani moderni in Medio Oriente; li ritroviamo verso i 60 Ka in Australia, circa 45 Ka in Europa e intorno ai 20 Ka nelle Americhe, passando dalla Beringia.

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L'arrivo in Europa: Aurignaziano e oltre


👉 Il sito di Blombos in Sudafrica, frequentato circa 75 mila anni fa, ha restituito reperti come piccole conchiglie lavorate, pigmenti, sottili aghi d’osso e microliti.

👉 E' opinione di molti ricercatori che in Europa i nostri antenati abbiano dato il meglio di sé. Anche se gli H. sapiens europei hanno perso il primato artistico quelle comunità di cacciatori-raccoglitori hanno comunque lasciato opere di una bellezza commovente e le prove di una fauna ormai estinta.

👉 Furono maestri di una nuova tecnologia: il Modo 4 (o Aurignaziano), il cui tratto distintivo è dato dalle lame in pietra oltre che da manufatti in osso, corno e avorio.

Col tempo subentrarono altre tecniche di lavorazione e altre culture. Anzi, la nostra specie ha fatto proprio dell’innovazione culturale il suo vessillo, e questo ci ha sicuramente aiutato a prosperare nelle isole del Pacifico come al Polo Nord.

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