Tensioni materiali e spirituali si sono a tal punto compresse, negli ultimi anni in Occidente, da potere alla fine essere risolte soltanto attraverso il combattimento. Con la guerra odierna un'epoca va incontro alla propria fine, e ora irrompono forze che non possono più venir dominate e trasformate nella dinamica di una nuova civiltà da idee astratte, da premesse universalistiche o mediante miti irrazionalmente concepiti. Si impone ora un'azione ben più profonda ed essenziale, affinchè di là dalle rovine di un mondo sovvertito e condannato, inizi per l'Europa un'epoca nuova.
In questa prospettiva, molto dipenderà dal modo in cui il singolo possa dare la forma all'esperienza del combattimento: se egli sia, cioè, in grado di assumere eroismo e sacrificio come una catarsi, come un mezzo di liberazione e di risveglio intcriore. Non solo per la definitiva e vittoriosa conclusione degli avvenimenti di questo tempestoso periodo, ma anche per dare una forma e un significato all'ordine che sorgerà dalla vittoria, questa impresa dei nostri combattenti interiore, invisibile, lontana da ogni gesto e dalle grandi parole avrà un carattere decisivo. È nella battaglia stessa che occorre risvegliare e temprare quella forza che, di là dalle bufere del sangue e degli stenti, con nuovo splendore e con pace potente propizierà una nuova creazione.
Per questo, oggi si dovrebbe apprendere di nuovo sul campo di battaglia la pura azione, l'azione non solo nel significato di ascesi virile, ma anche di purificazione e via verso forme di vita superiori, valide in sé e per sé il che, però, significa in un certo modo proprio un ritorno alla tradizione primordiale ario-occidentale. Dai tempi antichi risuona ancora sino a noi la suggestiva parola d'ordine: «La vita come un arco; l'anima - come una freccia; lo spirito assoluto come bersaglio da trapassare». Chi ancor oggi vive la battaglia nel significato di tale riconoscimento, questi ri marrà in piedi, laddove gli altri crolleranno - ed egli sarà una forza invincibile. Quest'uomo nuovo vincerà in sé ogni dramma, ogni oscurità, ogni caos, e nell'avvento dei nuovi tempi rappresenterà il principio di un nuovo sviluppo. Secondo la tradizione aria primordiale, tale eroismo dei migliori può realmente assumere una funzione evocatoria, quella, cioè, di ristabilire il contatto, da secoli allentato, tra mondo e sopramondo. Allora, il combattimento non diverrà né un'orribile carneficina, né avrà il significato di uno sconsolato destino condizionato dalla sola volontà di potenza, ma sarà la prova del diritto e della missione di un popolo. Allora la pace non significherà un nuovo affogare nel grigiore borghese quotidiano, né l'allentarsi della tensione spirituale operante nella battaglia, ma avrà, invece, il significato di un compimento della medesima.
Anche per questo vogliamo oggi nuovamente far nostra la professione di fede degli antichi, quale si esprime nelle parole: «II sangue degli eroi è più sacro dell'inchiostro degli eruditi e della preghiera dei devoti ». Essa sta anche alla base della concezione tradizionale, secondo cui nella «guerra santa» agiscono, assai più che i singoli, le forze mistiche primordiali della razza. Questeforze delle origini creano imperi mondiali e recano all'uomo la «pace vittoriosa».
Evola - La dottrina aria di lotta e vittoria.
In questa prospettiva, molto dipenderà dal modo in cui il singolo possa dare la forma all'esperienza del combattimento: se egli sia, cioè, in grado di assumere eroismo e sacrificio come una catarsi, come un mezzo di liberazione e di risveglio intcriore. Non solo per la definitiva e vittoriosa conclusione degli avvenimenti di questo tempestoso periodo, ma anche per dare una forma e un significato all'ordine che sorgerà dalla vittoria, questa impresa dei nostri combattenti interiore, invisibile, lontana da ogni gesto e dalle grandi parole avrà un carattere decisivo. È nella battaglia stessa che occorre risvegliare e temprare quella forza che, di là dalle bufere del sangue e degli stenti, con nuovo splendore e con pace potente propizierà una nuova creazione.
Per questo, oggi si dovrebbe apprendere di nuovo sul campo di battaglia la pura azione, l'azione non solo nel significato di ascesi virile, ma anche di purificazione e via verso forme di vita superiori, valide in sé e per sé il che, però, significa in un certo modo proprio un ritorno alla tradizione primordiale ario-occidentale. Dai tempi antichi risuona ancora sino a noi la suggestiva parola d'ordine: «La vita come un arco; l'anima - come una freccia; lo spirito assoluto come bersaglio da trapassare». Chi ancor oggi vive la battaglia nel significato di tale riconoscimento, questi ri marrà in piedi, laddove gli altri crolleranno - ed egli sarà una forza invincibile. Quest'uomo nuovo vincerà in sé ogni dramma, ogni oscurità, ogni caos, e nell'avvento dei nuovi tempi rappresenterà il principio di un nuovo sviluppo. Secondo la tradizione aria primordiale, tale eroismo dei migliori può realmente assumere una funzione evocatoria, quella, cioè, di ristabilire il contatto, da secoli allentato, tra mondo e sopramondo. Allora, il combattimento non diverrà né un'orribile carneficina, né avrà il significato di uno sconsolato destino condizionato dalla sola volontà di potenza, ma sarà la prova del diritto e della missione di un popolo. Allora la pace non significherà un nuovo affogare nel grigiore borghese quotidiano, né l'allentarsi della tensione spirituale operante nella battaglia, ma avrà, invece, il significato di un compimento della medesima.
Anche per questo vogliamo oggi nuovamente far nostra la professione di fede degli antichi, quale si esprime nelle parole: «II sangue degli eroi è più sacro dell'inchiostro degli eruditi e della preghiera dei devoti ». Essa sta anche alla base della concezione tradizionale, secondo cui nella «guerra santa» agiscono, assai più che i singoli, le forze mistiche primordiali della razza. Questeforze delle origini creano imperi mondiali e recano all'uomo la «pace vittoriosa».
Evola - La dottrina aria di lotta e vittoria.
Forwarded from Spiritualità Esoterismo Meditazione
Alle 21.30 seguono i nostri appuntamenti divugaltivi sulla Meditazione. Questa volta parleremo della meditazione come via per SUPERARE LA SOFFERENZA. Unitevi alle 21.30 al link:
https://t.me/spiritualitameditazione?livestream=74b92caf4eb6f6287c
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"Samadhi è quando il Divino e l'umano diventano una cosa sola, viene anche detto: "ciò che porta all'identità".
Il materialista dice: la voce della libertà è solo una illusione.
L'idealista dice: la voce che parla di schiavitù è una illusione. Il Vedānta dice: sei libero e allo stesso tempo non lo sei. Non sarai mai libero in questa vita terrena ma lo sarai in quella spirituale. Vai oltre la libertà e la schiavitù. Siamo Siva, siamo la Conoscenza immortale che va al di là dei sensi. Il potere infinito può essere raggiunto da tutti; prega la Madre e il potere arriverà.
<<O Madre, donatrice di vāc (eloquenza), Tu esisti, vieni a me sotto forma di eloquenza sulle mie labbra». (Invocazione induista). Quella Madre, la cui voce è nel tuono, viene dentro di me!
Sabato 6 luglio
(Oggi abbiamo avuto una lezione su un commento di un riferimento al Vyasa Vedanta Sūtra) Sankaracārya,
Om Tat Sat! Secondo Sankara esistono due fasi dell'universo: una è l'io, l'altra è il tu, sono opposte come la luce del giorno e la notte e non derivano l'una dall'altra.
Il soggetto e l'oggetto sono sovrapposti: il soggetto è la sola realtà, l'oggetto è solo un'apparenza. Il punto di vista opposto non è possibile. La materia e il mondo esterno, non sono che l'anima in un certo modo di essere, ma la realtà è una sola.
Il mondo proviene dalla verità e dalla non verità accoppiate insieme. Il samsāra (vita fenomenica) è il risultato delle forze contradditorie che agiscono su di noi. Il mondo è Dio ed è reale ma in realtà non è il mondo che vediamo: è come quando vediamo l'argento nella madreperla, ma non c'è argento. Questo è chiamato adhyāsa o sovrapposizione: una esistenza relativa che dipende da una esistenza reale; come quando ricordiamo una scena che abbiamo visto; in quel momento la scena per noi esiste, ma quella esistenza [è un ricordo,] non è reale.
La stessa cosa vale per noi quando vediamo la realtà, ma è distorta e cioè in un modo che non è.
Non potrai mai conoscere te stesso se non provi a vederti come oggetto separato da te stesso [che osservi]. Le cose che vediamo pensiamo siano vere, senza vedere altro. Per questo scambiamo l'oggetto per il soggetto.
L'atman non diventa mai l'oggetto. La mente, è uno dei sensi interiori ed i cinque sensi sono i suoi strumenti.
Se il soggetto è capace di oggettivarsi, questo lo aiuta a conoscere ciò che significa "io sono", però il soggetto è l'oggetto del suo stesso Sé, mai della mente e dei sensi. La scienza e l'ignoranza esistono, ma il Sé non si lascia influenzare dall'ignoranza."
Discorsi ispirati di Swami Vivekananda
Il materialista dice: la voce della libertà è solo una illusione.
L'idealista dice: la voce che parla di schiavitù è una illusione. Il Vedānta dice: sei libero e allo stesso tempo non lo sei. Non sarai mai libero in questa vita terrena ma lo sarai in quella spirituale. Vai oltre la libertà e la schiavitù. Siamo Siva, siamo la Conoscenza immortale che va al di là dei sensi. Il potere infinito può essere raggiunto da tutti; prega la Madre e il potere arriverà.
<<O Madre, donatrice di vāc (eloquenza), Tu esisti, vieni a me sotto forma di eloquenza sulle mie labbra». (Invocazione induista). Quella Madre, la cui voce è nel tuono, viene dentro di me!
Sabato 6 luglio
(Oggi abbiamo avuto una lezione su un commento di un riferimento al Vyasa Vedanta Sūtra) Sankaracārya,
Om Tat Sat! Secondo Sankara esistono due fasi dell'universo: una è l'io, l'altra è il tu, sono opposte come la luce del giorno e la notte e non derivano l'una dall'altra.
Il soggetto e l'oggetto sono sovrapposti: il soggetto è la sola realtà, l'oggetto è solo un'apparenza. Il punto di vista opposto non è possibile. La materia e il mondo esterno, non sono che l'anima in un certo modo di essere, ma la realtà è una sola.
Il mondo proviene dalla verità e dalla non verità accoppiate insieme. Il samsāra (vita fenomenica) è il risultato delle forze contradditorie che agiscono su di noi. Il mondo è Dio ed è reale ma in realtà non è il mondo che vediamo: è come quando vediamo l'argento nella madreperla, ma non c'è argento. Questo è chiamato adhyāsa o sovrapposizione: una esistenza relativa che dipende da una esistenza reale; come quando ricordiamo una scena che abbiamo visto; in quel momento la scena per noi esiste, ma quella esistenza [è un ricordo,] non è reale.
La stessa cosa vale per noi quando vediamo la realtà, ma è distorta e cioè in un modo che non è.
Non potrai mai conoscere te stesso se non provi a vederti come oggetto separato da te stesso [che osservi]. Le cose che vediamo pensiamo siano vere, senza vedere altro. Per questo scambiamo l'oggetto per il soggetto.
L'atman non diventa mai l'oggetto. La mente, è uno dei sensi interiori ed i cinque sensi sono i suoi strumenti.
Se il soggetto è capace di oggettivarsi, questo lo aiuta a conoscere ciò che significa "io sono", però il soggetto è l'oggetto del suo stesso Sé, mai della mente e dei sensi. La scienza e l'ignoranza esistono, ma il Sé non si lascia influenzare dall'ignoranza."
Discorsi ispirati di Swami Vivekananda
Cominciamo dalle prime parole della preghiera: Padre nostro che sei nei cieli. Nel vostro libro esse sono intese come un appello all’amore del prossimo, perché siamo tutti Figli di Dio. Questo è giusto, ma nei santi Padri la spiegazione va oltre ed è più profondamente spirituale: essi dicono che pronunciando quelle parole noi dobbiamo elevare la nostra mente al Cielo, al Padre che è nei Cieli, e ricordare a ogni istante che siamo alla presenza di Dio. Le parole: sia santificato il tuo nome, esortano, secondo il vostro libro, a non menzionare il Nome di Dio senza reverenza, né usarlo per falsa testimonianza, affinché quel santo Nome sia pronunciato piamente e non invano; ma gli scrittori mistici le interpretano come una petizione dell’orazione del cuore, vale a dire: che il santissimo Nome si imprima nell’intimo del cuore e vi sia santificato dalla orazione spontanea e santifichi a sua volta tutti i sentimenti e le potenze della nostra anima. Le parole: venga il tuo Regno, poi, le spiegano così: vengano nel nostro cuore la pace interiore, il riposo e il gaudio spirituale. Il vostro libro spiega che le parole: dacci oggi il nostro pane quotidiano, si riferiscono ai bisogni della nostra vita corporale, a quello che occorre per noi e per il nostro prossimo. Massimo il Confessore invece intende per pane quotidiano il pane celeste che nutre lo spirito, cioè la Parola di Dio, e l’unione con Dio nel raccoglimento in Lui del pensiero e nella incessante orazione del cuore”.
Racconti di un pellegrino russo
Racconti di un pellegrino russo
L'uomo non crescerà mai integralmente, non sarà mai completo, se non si aprirà alla meditazione, permettendo alle correnti purificatrici del triplice silenzio di ordinare e pulire la sua casa interiore. Cristo ci insegna questo silenzio, il quale più che un lusso per pochi è un mezzo indispensabile per una vita votata al servizio limpido ed efficace dei fratelli. Prima della sua vita pubblica egli si tuffò per quaranta giorni nei silenzi del deserto della Giudea. San Luca poi ci descrive le folle che sembravano non volerlo lasciare andare:
"La gente parlava sempre più spesso di Gesù, e molta folla si radunava per ascoltarlo e per essere guarita dalle malattie."
(Lc 5,15)
Ci si potrebbe aspettare che il Signore in mezzo ai rumori e alle attività della vita pubblica abbia una reazione del tipo: «E Gesù raddoppiava le sue fatiche e sforzi per donarsi ancora più ai lavori della sua missione». Invece la conclusione riportata dall'evangelista (che mi auguro sia anche di spunto per noi!) è ben diversa:
Ma Gesù si ritirava in luoghi isolati per pregare. (Lc 5,16)
Padre Mariano Ballester- Verso l'altra riva
"La gente parlava sempre più spesso di Gesù, e molta folla si radunava per ascoltarlo e per essere guarita dalle malattie."
(Lc 5,15)
Ci si potrebbe aspettare che il Signore in mezzo ai rumori e alle attività della vita pubblica abbia una reazione del tipo: «E Gesù raddoppiava le sue fatiche e sforzi per donarsi ancora più ai lavori della sua missione». Invece la conclusione riportata dall'evangelista (che mi auguro sia anche di spunto per noi!) è ben diversa:
Ma Gesù si ritirava in luoghi isolati per pregare. (Lc 5,16)
Padre Mariano Ballester- Verso l'altra riva
Nella mistica di Tauler, discepolo di Eckhart, la morte del piccolo io diviene un bellissimo canto gioioso della suprema povertà e conseguenza dell'abbandono dei ragionamenti discorsivi nella sponda del silenzio:
"Voglio intonare un canto nuovo: la nudità. La purezza reale è vuota di pensiero, il pensiero deve ritrarsi. Ho perduto il mio io egoico, sono ridotto a nulla. Chi si è spogliato della ragione non ha inquietudini.
Ciò che mi è straneo non m'illude ormai più, son felice di essere tanto povero che ricco. Nessuna immagine mi soddisfa, mi son liberato di me stesso. Sono ridotto a nulla, chi si è spogliato della ragione non ha inquietudini.
Fondendomi con l'unità, ho superato le immagini, questa è l'unità reale. Amore e dolore non mi feriscono. Sono ridotto a nulla, chi si è spogliato della ragione non ha inquietudini. Cessando di distinguere mi son liberato della ragione. In me è solo presente la divinità una. Non posso tacere, devo affermare: Sono ridotto a nulla, chi si è spogliato della ragione non ha inquietudini.
Sono perduto nell'abisso, non ho più parole né lingua, la divinità mi ha inghiottito. Io sono disabitato, per questo le tenebre mi hanno rallegrato... Il fuoco d'amore mi ha d'un tratto consunto. Ne sono morto. Chi si è spogliato della ragione non ha inquietudini."
Questo canto di Tauler potrebbe essere riassunto nelle parole di Paolo ai Colossesi sulla vita originaria già citate, che ora possiamo completare con quelle riguardanti la morte del piccolo io (3,3):
Siete morti
e la vostra vita è ormai nascosta
con Cristo in Dio.
Padre Mariano Ballester - Il Cristo, Il Contadino e il Bue.
"Voglio intonare un canto nuovo: la nudità. La purezza reale è vuota di pensiero, il pensiero deve ritrarsi. Ho perduto il mio io egoico, sono ridotto a nulla. Chi si è spogliato della ragione non ha inquietudini.
Ciò che mi è straneo non m'illude ormai più, son felice di essere tanto povero che ricco. Nessuna immagine mi soddisfa, mi son liberato di me stesso. Sono ridotto a nulla, chi si è spogliato della ragione non ha inquietudini.
Fondendomi con l'unità, ho superato le immagini, questa è l'unità reale. Amore e dolore non mi feriscono. Sono ridotto a nulla, chi si è spogliato della ragione non ha inquietudini. Cessando di distinguere mi son liberato della ragione. In me è solo presente la divinità una. Non posso tacere, devo affermare: Sono ridotto a nulla, chi si è spogliato della ragione non ha inquietudini.
Sono perduto nell'abisso, non ho più parole né lingua, la divinità mi ha inghiottito. Io sono disabitato, per questo le tenebre mi hanno rallegrato... Il fuoco d'amore mi ha d'un tratto consunto. Ne sono morto. Chi si è spogliato della ragione non ha inquietudini."
Questo canto di Tauler potrebbe essere riassunto nelle parole di Paolo ai Colossesi sulla vita originaria già citate, che ora possiamo completare con quelle riguardanti la morte del piccolo io (3,3):
Siete morti
e la vostra vita è ormai nascosta
con Cristo in Dio.
Padre Mariano Ballester - Il Cristo, Il Contadino e il Bue.
Mio Dio, fammi uscire dalla bassezza della mia anima e purificami dal dubbio e dall'associazionismo, prima che io scenda nella tomba.
A Te chiedo la vittoria: fammi vincere.
In Te confido: fa' che non confidi in me stesso.
Ti invoco: non deludermi.
Anelo alla Tua grazia: non privarmene.
Mi attacco alla Tua maestà: non allontanarmi.
Sosto alla Tua porta: non cacciarmi.
Dal Colloquio Mistico di Ibn 'Atā' Allāh
A Te chiedo la vittoria: fammi vincere.
In Te confido: fa' che non confidi in me stesso.
Ti invoco: non deludermi.
Anelo alla Tua grazia: non privarmene.
Mi attacco alla Tua maestà: non allontanarmi.
Sosto alla Tua porta: non cacciarmi.
Dal Colloquio Mistico di Ibn 'Atā' Allāh
I Pandava avanzarono in silenzio, con un gruppo di fedeli seguaci, fino a quando raggiunsero le rive della Ganga, dove trascorsero la notte sotto un albero dall'ampia chioma.
Qualcuno, nel seguito di Yudhisthira, accese un fuoco sacrificale, e salmodiò melodiosamente i Veda per ingannare il tempo.
Yudhisthira si rivolse a loro: « Rientrate, ve ne prego. La foresta è irta di pericoli. È popolata di rettili e di animali feroci. Noi siamo i responsabili di un simile destino, perché mai voi dovreste condividerlo? I miei fratelli sono così scoraggiati che non hanno nemmeno la forza di cogliere frutti e cacciare animali per procurarvi il cibo. Per questo vi esorto a tornare alle vostre case ».
Qualcuno accolse il suo suggerimento e si allontanò, ma altri rifiutarono di andarsene, assicurando a Yudhisthira che avrebbero saputo provvedere a se stessi senza essere di peso in alcun modo. Yudhisthira fu commosso dalla loro devozione e non seppe nascondere le lacrime. Il suo dolore coinvolgeva tutti. Fu allora che Saunaka, uno dei savi del gruppo, prese a consolarlo con le sue riflessioni filosofiche. «Timori e dolori affliggono a mille a mille l'intera umanità, ma riescono a incidere solo sugli ignoranti. Uomini dotati della tua saggezza non debbono lasciarsi sopraffare da un mutamento delle circostanze che causa povertà, che determina la perdita della casa, del regno, degli amici e dei parenti. »
Il Mahābhārata raccontato da R. K. Narayan
Qualcuno, nel seguito di Yudhisthira, accese un fuoco sacrificale, e salmodiò melodiosamente i Veda per ingannare il tempo.
Yudhisthira si rivolse a loro: « Rientrate, ve ne prego. La foresta è irta di pericoli. È popolata di rettili e di animali feroci. Noi siamo i responsabili di un simile destino, perché mai voi dovreste condividerlo? I miei fratelli sono così scoraggiati che non hanno nemmeno la forza di cogliere frutti e cacciare animali per procurarvi il cibo. Per questo vi esorto a tornare alle vostre case ».
Qualcuno accolse il suo suggerimento e si allontanò, ma altri rifiutarono di andarsene, assicurando a Yudhisthira che avrebbero saputo provvedere a se stessi senza essere di peso in alcun modo. Yudhisthira fu commosso dalla loro devozione e non seppe nascondere le lacrime. Il suo dolore coinvolgeva tutti. Fu allora che Saunaka, uno dei savi del gruppo, prese a consolarlo con le sue riflessioni filosofiche. «Timori e dolori affliggono a mille a mille l'intera umanità, ma riescono a incidere solo sugli ignoranti. Uomini dotati della tua saggezza non debbono lasciarsi sopraffare da un mutamento delle circostanze che causa povertà, che determina la perdita della casa, del regno, degli amici e dei parenti. »
Il Mahābhārata raccontato da R. K. Narayan
"Che sia onorato o tormentato, il saggio è sempre consapevole della suprema natura del Sé e non nutre aspettative né delusioni.
La persona dalla grande anima vede persino il proprio corpo agire come il corpo di qualcun altro, dunque come può essere disturbato dall'onore o dal disonore?
Vedendo questo mondo come pura illusione, e privo di ogni interesse in esso, come può colui che ha una mente forte provare ancora paura, anche di fronte alla morte?
Chi può essere comparato ad una persona dalla grande anima la cui mente è libera dal desiderio, anche nella delusione, e che ha trovato soddisfazione nella conoscenza di sé?
Come può una persona dalla mente risoluta, che sa che quello che vede è per sua natura nulla, considerare un oggetto come desiderabile ed un altro come sgradevole?
Un oggetto di godimento di per sé non è né doloroso né piacevole per qualcuno che ha rimosso l'attaccamento, e che è libero dal dualismo e dal desiderio."
Dal III capitolo dell'Ashtavakra Gita
La persona dalla grande anima vede persino il proprio corpo agire come il corpo di qualcun altro, dunque come può essere disturbato dall'onore o dal disonore?
Vedendo questo mondo come pura illusione, e privo di ogni interesse in esso, come può colui che ha una mente forte provare ancora paura, anche di fronte alla morte?
Chi può essere comparato ad una persona dalla grande anima la cui mente è libera dal desiderio, anche nella delusione, e che ha trovato soddisfazione nella conoscenza di sé?
Come può una persona dalla mente risoluta, che sa che quello che vede è per sua natura nulla, considerare un oggetto come desiderabile ed un altro come sgradevole?
Un oggetto di godimento di per sé non è né doloroso né piacevole per qualcuno che ha rimosso l'attaccamento, e che è libero dal dualismo e dal desiderio."
Dal III capitolo dell'Ashtavakra Gita
Che cos'è la contemplazione?
La contemplazione è l’espressione più alta della vita intellettuale e spirituale dell’uomo. È quella vita stessa, pienamente cosciente, pienamente attiva, pienamente consapevole di essere vita. È prodigio spirituale. È timore riverente, spontaneo, di fronte al carattere sacro della vita, dell’essere. È gratitudine per il dono della vita, della consapevolezza, dell’essere. È chiaro intendimento che la vita e l’essere, in noi, derivano da una Fonte invisibile, trascendente e infinitamente ricca. La contemplazione è soprattutto consapevolezza della realtà di questa Fonte....È un prender viva coscienza dell’Essere infinito che sta alla radice del nostro essere limitato. Una consapevolezza della nostra realtà contingente come ricevuta, come dono di Dio, come un gratuito dono d’amore. Proprio questo è quel contatto vitale di cui parliamo quando usiamo la metafora «toccato da Dio». La contemplazione è pure risposta a un appello: un appello di Colui che non ha voce, ma che tuttavia parla in ogni cosa che esiste e che, soprattutto, parla nel profondo del nostro essere, poiché noi stessi siamo Sue parole. Siamo parole intese a corrisponderGli, a risponderGli, ad echeggiarLo e anche, in un certo modo, a contenerLo e a manifestarLo. La contemplazione è questa eco. È una profonda risonanza nel nucleo più intimo del nostro spirito, dove la nostra stessa vita perde la sua voce individuale per vibrare della maestà e della misericordia del Nascosto e del Vivente...È come se, creandoci, Dio avesse posto una domanda; e, ridestandoci alla contemplazione, Egli rispondesse a questa domanda. Così l’anima contemplativa è al tempo stesso domanda e risposta. La vita contemplativa implica due gradi di consapevolezza: primo, consapevolezza della domanda; secondo, consapevolezza della risposta. Benché questi due gradi siano distinti e immensamente diversi tra loro, pure sono coscienza di un’identica realtà. La domanda è, essa stessa, la risposta. E noi siamo ambedue le cose. Ma non possiamo saperlo finché non ci siamo portati al grado superiore; ci ridestiamo non per trovare una risposta nettamente diversa dalla domanda, ma per renderci conto che la domanda è risposta a se stessa. E tutto ciò si riassume in un’unica consapevolezza: non un’affermazione, ma una esperienza: «Io sono».
Semi di contemplazione - Thomas Merton
La contemplazione è l’espressione più alta della vita intellettuale e spirituale dell’uomo. È quella vita stessa, pienamente cosciente, pienamente attiva, pienamente consapevole di essere vita. È prodigio spirituale. È timore riverente, spontaneo, di fronte al carattere sacro della vita, dell’essere. È gratitudine per il dono della vita, della consapevolezza, dell’essere. È chiaro intendimento che la vita e l’essere, in noi, derivano da una Fonte invisibile, trascendente e infinitamente ricca. La contemplazione è soprattutto consapevolezza della realtà di questa Fonte....È un prender viva coscienza dell’Essere infinito che sta alla radice del nostro essere limitato. Una consapevolezza della nostra realtà contingente come ricevuta, come dono di Dio, come un gratuito dono d’amore. Proprio questo è quel contatto vitale di cui parliamo quando usiamo la metafora «toccato da Dio». La contemplazione è pure risposta a un appello: un appello di Colui che non ha voce, ma che tuttavia parla in ogni cosa che esiste e che, soprattutto, parla nel profondo del nostro essere, poiché noi stessi siamo Sue parole. Siamo parole intese a corrisponderGli, a risponderGli, ad echeggiarLo e anche, in un certo modo, a contenerLo e a manifestarLo. La contemplazione è questa eco. È una profonda risonanza nel nucleo più intimo del nostro spirito, dove la nostra stessa vita perde la sua voce individuale per vibrare della maestà e della misericordia del Nascosto e del Vivente...È come se, creandoci, Dio avesse posto una domanda; e, ridestandoci alla contemplazione, Egli rispondesse a questa domanda. Così l’anima contemplativa è al tempo stesso domanda e risposta. La vita contemplativa implica due gradi di consapevolezza: primo, consapevolezza della domanda; secondo, consapevolezza della risposta. Benché questi due gradi siano distinti e immensamente diversi tra loro, pure sono coscienza di un’identica realtà. La domanda è, essa stessa, la risposta. E noi siamo ambedue le cose. Ma non possiamo saperlo finché non ci siamo portati al grado superiore; ci ridestiamo non per trovare una risposta nettamente diversa dalla domanda, ma per renderci conto che la domanda è risposta a se stessa. E tutto ciò si riassume in un’unica consapevolezza: non un’affermazione, ma una esperienza: «Io sono».
Semi di contemplazione - Thomas Merton